lunedì 18 ottobre 2010

Era un freddo pomeriggio d'inverso. di quelli tanto freddi che ti viene la pelle d'oca solo a pensarci. La neve piombava giù come zucchero sulle strade di carbone scolorito. Usciva fumo dai camini di tutte le case, ciminiere in funzione, che a loro non so possono mica ammalare di cancro. I gatti, per strada, dal canto loro, avevano sempre qualche macchina sotto cui ripararsi. qualcuno, impavido, sfilava sotto il freddo e sotto la neve.
Dalla finestra del secondo piano di una dette tante casette gialline che abitavano quella strana alberata, Lei ammirava il viale che a poco a poco diventava soffice panna montata.
Aveva gli occhi color del mare limpido, di quando c'è il cielo chiaro e il sole scoperto da ogni cosa, di quando sono le sette di mattina e attraverso quella tavola che è il mare riesci a vedere ogni singolo pesce che si sveglia. occhi di vetro e di oceano e di quelle lenzuola che aveva lì accanto a lei, disfatte sul materasso, della stessa tinta mista e sconosciuta della trasparenza del cielo.
I capelli le sprofondavano delicatamente dal collo fin dentro l'incavo tra i suoi seni, soffici, bianchi. Quelle ciocche che non si sapeva se le avesse avute in dono dagli angeli o dal demonio in persona. lisci in cima, sottilissimi come seta, finivano danzando attorno a se stessi in voluminosi boccoli color tramonto. Nessuno mai avrebbe potuto stabilirne una tonalità specifica. Guardava in alto i piccoli fiocchi, sbalordita.
Sotto il suo naso all'insù si scorgevano due petali di rosa rossa, schiusi, morbidi e delicatamente intimi. Semiaperti o semichiusi dipende dal punto vista, così, meravigliati e imbarazzati da tanta dolcezza tutta per lei, dal cielo - che regalo magnifico il cielo.
Sorrise.
Qualunque essere umano non avrebbe retto davanti ad uno spettacolo così violentemente fragile.
Lei, non il cielo, era il più bel regalo tra tutti, in quell'istante.


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