mercoledì 30 giugno 2010

Il fatto è che sai parlare veramente d'amore solo quando non lo conosci. Perchè una volta che gli hai stretto la mano non lo vivi più come prima. Ti affanni a cercarlo ovunque, a darlo e a riceverlo, ma ti dimentichi di quei respiri intensi e vivi, di quegli sguardi timidi, di quegli abbracci puri come una sorgente. Qualcosa che ti entra in testa e non ti lascia più come il ritornello di una canzone che non smetti di ascoltare. Perchè l'amore è un carburante elettrico e se spegni la luce è la fine.
Ricordo una sera quando alla tv trasmisero un'intervista fatta a Mia Martini qualche mese prima che morisse: "l'amore" disse "spero che non si buchi come l'ozono, perchè è veramente fragile". Amai il suo sguardo colmo dell'amore fragile di cui parlava. Sapeva quello che stava dicendo e sapeva benissimo che in realtà il buco dell'ozono non è niente in confronto alla fragilità di un sentimento. Credo che in quel momento volesse dare solo un po' di speranza ai novelli del mondo della felicità astratta che tutti chiamano amore.
Mi chiamo Angelica Epervier e sono nata in Francia, ma l'unica cosa oscenamente francese in me è la mia schizofrenica erre moscia che a volte c'è a volte non c'è, e non lo faccio neanche a posta. A dire il vero viene nei momenti meno opportuni. Come quando sono arrabbiata, mio dio, mi si inceppa la lingua. O peggio ancora quando ci sono troppe erre in una frase, lì è un casino. Ma solitamente le tengo a bada. Se dovessi mai ringraziare mio padre per qualcosa sarebbe unicamente per il cognome. Ne sono totalmente innamorata. Nei miei sogni mi reincarno spesso in uno sparviero. Me ne volo via senza una meta e le mie ali mi piacciono tantissimo in questi sogni, l'ammetto. Quando ero piccola me ne costruii un paio di cartapesta ma fecero una brutta fine cadendo giù dalla finestra del mio vecchio appartamento, al sesto piano. Quel giorno capii che non sarei mai riuscita a volare con delle ali di cartapesta. Fu un vero dramma: non provai neanche a costruirne un paio più grande. Ora che ci penso però per quanto ero leggera, chi lo sa, forse avrebbero funzionato. Ora certamente peso un po' di più e sarebbe improbabile riuscirci, così mi limito a sognare le mie piume soffici.
E’ il mondo, la chiave di tutto. Il mondo ruota ad una velocità allucinante e ciò significa che in un millesimo di secondo il mio corpo si trova un numero incondizionato di volte a testa in giù. Sento persino una sensazione di nausea. E’ come stare sulle montagne russe. Ma amo sentire il mio stomaco sottosopra, mi si scombussolare l’anima (o forse è la bile).
E l’avevo capito già da piccola. Oh, se l’avevo capito. Volevo mangiarmi il mondo. Sbranarmelo tutto.
Quand'ero appena nata, nell'incubatrice, troppo fragile con i miei 2 chili e 800 grammi, già gattonavo alla ricerca di un nuovo mondo e spesso e volentieri le infermiere dovevano cambiare le lenzuola sporche di sangue perché dal troppo gattonare mi sbucciavo le ginocchia. Forse avrei voluto mangiar anche quelle. Fin da piccola mi avevano sempre detto che ero uguale ad una bambolina di porcellana è per questo forse che avevo sempre avuto paura di cadere, frantumandosi in mille pezzi.
Ora, invece, sono di gran lunga più calma e meno intraprendente, ma col tempo, dai giorni dell'incubatrice ad ora, ho sicuramente ginocchia più forti. Faccio finta di trovare un modo per scappare e al contempo il mondo fa finta di non avere un futuro in servo per me. Più o meno come a un gangstar piace il miele o come a una puttana piacciono le rose. Un fiore dannatamente perfetto, direi. Ma non l'amo particolarmente, per lo più ne sono affascinata. Forse perchè i suoi petali sono disposti secondo la proporzione perfetta della sezione aurea.
16180.
Troppi numeri danno al cervello. Chissà che le meduse non abbiano tanti tentacoli quanti sono i capelli di un essere umano.
Già, l'avevo appena detto che i numeri danno al cervello. E chissà che a 90 anni non sarò a spulciarmi con le mani tremanti e dire "tremilioninovecentocinquantatremilasettecentoundicesimo capello!".

Le sue labbra piccole a forma di cuore e la sua pelle come latte che si colora d'un rosa pastello sulle guance paffute e morbide avrebbero fatto invidia persino a Biancaneve in persona. I suoi occhi gialli cangianti rispecchiano il suo stato d'animo e questo a volte la penalizza molto, e lei lo sa bene. A. ha due poeti maledetti che nessuno conosce al posto degli occhi,
ma non per questo non sfilzano sguardi che sono poesie.
Ma quello che la rappresenta maggiormente sono i suoi capelli rosso acceso che le arrivavano fino al seno. Non aveva mai voluto somigliare ad una barbie poiché mai ne aveva avuta una, né tanto meno dalle pubblicità in TV si era identificata in una di queste e aveva sempre pensato che per lei la casa delle barbie sarebbe stato un luogo troppo utopistico.
E così Angie respirava e viveva, e questo era l’essenziale. E viveva così come un pesce rosso nella sua piccola bolla d'acqua, tra il vuoto e l'inerzia in un respiro sempre più compresso in quei polmoni assenti rimpiazzati da un nero pece.
Se avesse saputo quanti neuroni circolavano alle 23:52 di quella sera avrebbe volentieri preso un fucile a canna lunga e li avrebbe fatti fuori uno ad uno. Faceva davvero fatica a vedere il cielo nella sua stanza, quella notte.
Accennò un sorriso ma le labbra tornarono al loro posto prima del previsto. Era sicura che se si fosse chiamata Norma Jeane Baker, il mattino seguente la madre l'avrebbe trovata nuda a pancia in su sul suo letto, morta, con scatole vuote di barbiturici e champagne.
Ed io stavo a guardarla come neanche il più acuto osservatore del mondo avrebbe fatto.
Era come capire un quadro di Klimt, e mi piaceva.

4 commenti:

eL ha detto...

" fatto è che sai parlare veramente d'amore solo quando non lo conosci. Perchè una volta che gli hai stretto la mano non lo vivi più come prima"
Incredibilmente vero

Ally. ha detto...

eggià..

Valentina Luberto ha detto...

ho toccato ogni singola parola, ognuna, nessuna esclusa.

Ally. ha detto...

ne sono felice. :)